ACQUA, CHE DÀ VITA...
Il Gufo nei suoi pensieri notturni disse:
La scrittrice
Antonia Arslan, ricorda, così, quello che successe, quando,
dopo un periodo di coma farmacologico, riemerse alla coscienza...
«Io avevo sete, tanta sete! Ogni tanto, provavo a farmi capire con gli
occhi,
perché non riuscivo a muovere le mani, e sentivo la gola ostruita da qualcosa
di viscido,
ma pesante, come un sasso... "Ho sete, voglio acqua!", cercavo di
dire,
e mi raschiavo la gola per parlare, ma non ce la facevo a metter
fuori la voce.
Tentavo, e ritentavo, continuamente, e mi pareva che la voce uscisse,
ma, poi, non la sentivo: neanche un soffio, neanche raschiante... Non c'era
nessuno, intorno:
il buio si faceva, di momento in momento, più intenso, e la sete ancora più
acuta!
Riemergevo da un sonno opprimente, ma non potevo chiamare, solo aspettare,
e un'acuta nostalgia mi prese:
una voglia di piangere, sulla mia miseria, sulla mia solitudine, sulla mia
sete...
Fu in quel momento, che tornarono in due: l'infermiera, e un giovane, poco più
di un ragazzo.
Ogni tanto, vengono in coppia: quando ti devono sollevare, e cambiare!
Mi sprimacciarono il cuscino, mi rassettarono il lenzuolo:
controllarono che i piedi fossero coperti, e che le lucette, sul quadro dei
controlli, fossero a posto.
Poi, l'infermiera andò ad aggiornare il diario!
Mentre facevano queste cose, io li seguivo con gli occhi,
ansiosa, cercando di parlargli, di farmi capire, che avevo bisogno di acqua.
Non sapevo ancora, allora, di avere un tubo in gola...
Stavano per andarsene, e l'infermiera uscì per prima.
Ma, come se avesse sentito l'intensità disperata del mio sguardo,
il ragazzo si voltò lentamente, mi guardò con attenzione, e sorrise!
Poi, disse, con semplicità: "Cosa stai pensando, cara: forse, hai bisogno
di un'acquata?".
E, come fra sé, si rispose: "Certo, che ne ha bisogno!",
e uscì svelto, per ritornare, dopo un momento, con larghi teli bianchi,
e un catino d'acqua, appena tiepida.
Cominciò a bagnare i teli, e me li appoggiava sul corpo,
dappertutto, con meticolosa attenzione, rimettendoli nell'acqua ogni tanto:
tamponandomi, con un angolo di tela, la fronte e le labbra.
Un senso di frescura infinita mi si diffondeva per le membra,
e perfino l'arsura in gola si attenuava, e il buio sembrava meno denso!
Per mezz'ora, ci parlammo con gli occhi; ogni tanto, mi guardava, scuoteva la
testa, e diceva:
"Ancora un po', vero? Ti fa star meglio, si vede!",
e, quando lo vennero a chiamare, rispose:
"Non la posso ancora lasciare!", e continuò a darmi acqua sul corpo.
Così, mi addormentai di nuovo, e lui se ne andò, piano piano, silenziosamente:
e, per qualche ora, dormii tranquilla.
Speravo di rivederlo, il giorno dopo: speravo che mi facesse un'altra
acquata,
volevo dirgli ancora grazie con gli occhi...
Ma non lo rividi, né il giorno dopo, né in quelli seguenti!
E, quando, finalmente, mi tolsero il tubo, e potevo parlare,
cominciai a chiedere di lui, ma nessuno lo conosceva, né le infermiere, né i
dottori:
e mi accorsi, che tutti loro pensavano, che avessi avuto un'allucinazione;
che m'immaginavo di ricordare qualche cosa, che, invece, era stato solo un
desiderio,
una visione interiore, dovuta alla troppa sete, ai tanti farmaci, chissà...
Allora, smisi di chiedere!
Ma, molti giorni dopo, proprio lui, entrò, verso sera, nella mia stanza,
portando un bicchiere...
Lo riconobbi immediatamente, ma lui no!
Io cominciai a parlargli dell'acquata, sorridendo nervosa, accavallando le
parole:
e, finalmente, si ricordò di me!
Ma non gli pareva, di aver fatto nulla di speciale, disse: lui, quella sera,
faceva un turno per caso,
faceva una sostituzione...
Io insistevo: gli dicevo quanto avesse significato, per me, quel suo darmi
l'acqua, bagnarmi tutta,
contro i fantasmi notturni... E, solo allora, arrossì tutto, in viso, come un
ragazzino!».
"Ci sono
quelli, che hanno poco, e lo danno tutto!
Essi credono nella vita, e nella sua munificenza, e il loro forziere non è mai
vuoto...
Ci sono quelli, che danno con gioia, e la gioia è la loro ricompensa!".